Il cinema dei fratelli Coen attraverso la rilettura del ''Grande Lebowski''

Il passo successivo nella carriera dei due "ragazzi" di Minneapolis segna il raggiungimento dell'apice creativo su un percorso stilistico e poetico che ha pochi eguali nel cinema contemporaneo quanto a coerenza. Il grande Lebowski assurge in poco tempo a film di culto assoluto, grazie soprattutto a una carrellata di personaggi indimenticabili, di dialoghi fulminanti, di trovate sensazionali. La pellicola esce in un clima di semi-indifferenza, snobbata dal grande pubblico e inizialmente considerata "opera minore" nella filmografia coeniana. Una sorta di vacanza, dicono alcuni. In Italia esce nei cinema addirittura a stagione quasi terminata. 
È successivamente, però, che con il passaparola generale e la rivalutazione da parte di una certa critica più attenta alle reali intenzioni degli autori, che il film che racconta le vicissitudini incredibili del Drugo e dei suoi amici viene nuovamente rivisitato e salutato, con un minimo ritardo, come la pellicola che in realtà è: una commedia miliare, un compendio totale del cinema dei Coen, un capolavoro del cinema americano targato anni 90. 
La disillusione e lo sguardo sornione dei due cineasti sulle vicende del loro Paese si trasforma nell'opposta possibile realizzazione rispetto al loro capolavoro precedente. Dalla tragedia glaciale macchiata di sangue si passa alla farsa, al tocco demenziale di una "non avventura", dove pare succedere di tutto, ma in realtà non accade niente. Il tutto per prendere le parti, ancora una volta, di chi pare abbia capito tutto della modernità: il Drugo non sta né dalla parte dei rivoluzionari, di quelli che volevano cambiare il mondo e invece hanno perso (glielo urla anche il suo omonimo Lebowski in un mirabile scambio di battute), né tantomeno si schiera con i finti filantropi, i miliardari da quattro soldi di un'America che si cura delle apparenza per sfuggire all'ipocrisia.
Così, mentre gli Stati Uniti vivono in televisione la loro più grande tragedia moderna, quella guerra del Golfo di cui non si capisce bene l'esito o l'andamento, il protagonista di questa storia che distrugge il concetto di noir, ammantandolo di tic comici, si muove in vestaglia e bermuda, tra uno spinello e una partita a bowling, dispensando pillole di calma saggezza mentre gli abitanti di un mondo furente, intorno a lui, cercano un posto al sole per giustificare la propria esistenza. 
E come al solito nella filmografia dei due registi, Il grande Lebowski non è solo una straordinaria commedia, ma è anche un nuovo limpido esempio di scr
ittura cinematografica, dove ogni battuta, ogni dialogo e ogni inquadratura assumono un profondo significato. Ma i Coen sono così: non hanno bisogno di ostentare la loro intelligenza, non hanno bisogno di inscenare un dramma sul crollo di alcuni miti generazionali. Trovano più divertente raccontare le medesime tematiche con l'ironia di chi non sente minimamente la necessità di essere preso sul serio.

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